Osteonecrosi mandibolare, così si chiama la malattia che da alcuni anni è stata osservata da medici odontoiatri e medici oncologi soprattutto in persone ammalate di tumore che assumono alte dosi di bifosfonati per lungo periodo.
L’osteonecrosi è una condizione clinica grave che si verifica a carico di una zona ossea per la mancata diffusione di sangue nell’area interessata. Nel caso della mandibola, può svilupparsi spontaneamente o in seguito a procedure chirurgiche invasive, soprattutto piccoli interventi di chirurgia maxillo facciale, quali gli impianti dentali, oppure estrazioni dentali. Il risultato è un’esposizione e un’erosione dell’osso, con conseguente danneggiamento dei tessuti vicini e dei bordi della lingua, su cui possono comparire ulcere molto dolorose.
Fino ad oggi l’associazione tra questa malattia e l’assunzione dei bifosfonati è stata osservata soprattutto per alcuni prodotti di nuova generazione di questa classe di farmaci, in particolare pamidronato e acido zoledronico, in persone ammalate di tumore del seno o di mieloma multiplo che li assumono per via endovenosa in quantità elevate e per lunghi periodi, per combattere le metastasi ossee.
E’ un rischio molto basso dunque, che va comunque tenuto sotto osservazione, così come vanno raccolti dati su tutti i casi di osteonecrosi mandibolare
associati all’assunzione di bifosfonati.
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Sarebbe opportuno evitare qualsiasi procedura sulla mandibola che richieda la riparazione dell'osso. È raccomandato (12) un esame
clinico di routine che includa l'OPT per identificare potenziali infezioni dentarie e del periodonto. |
Una maggiore durata della terapia è associata ad un aumento del rischio, in particolare nel caso in cui essa superi i tre anni. Il rischio per i pazienti è dell’1% nel primo anno di cure e sale all’11% dopo 4 anni. Per i pazienti che hanno assunto esclusivamente zoledronato il rischio a 3 anni è del 21%.
L’osteonecrosi dei mascellari è una severa complicanza che può derivare dalla terapia farmacologica con bifosfonati, farmaci prescritti per il trattamento di patologie metaboliche e oncologiche a carico dell’apparato scheletrico. I fattori di rischio che possono contribuire alla comparsa della patologia sono molteplici e relativi sia a condizioni sistemiche che locali. Nel 70-80% dei casi l’osteonecrosi si manifesta con una mancata guarigione o con un ritardo nel processo di guarigione in seguito ad un’estrazione dentaria o a qualsiasi intervento di chirurgia orale. In un numero inferiore di casi si può avere l’insorgenza spontanea della patologia. Le fasi precoci sono prevalentemente asintomatiche e non presentano alterazioni cliniche e radiografiche. Col procedere della malattia il sintomo più comunemente riferito dai pazienti è quello dato da una sensazione sgradevole di intorpidimento e bruciore alla bocca. Una scrupolosa esplorazione della mucosa orale e della regione cutanea del terzo inferiore del volto supportata da indagine radiografica nei pazienti con anamnesi positiva per bifosfonati ci aiuta a riconoscere piccoli segni che possono sollevare il sospetto che vi sia un processo osteonecrotico in atto. Questa fase precede l’osteonecrosi vera e propria pertanto rappresenta un momento importante di diagnosi precoce e prevenzione della patologia. Il management odontoiatrico per i pazienti in attesa di intraprendere una terapia con bifosfonati somministrati per via endovenosa prevede un’accurata valutazione odontostomatologica e l’attuazione di un adeguato piano di trattamento conservativo, parodontale e protesico finalizzato all’eliminazione di possibili fattori di rischio locali predisponenti alla comparsa dell’osteonecrosi. Qualora siano necessari interventi chirurgici e le condizioni sistemiche del paziente lo permettano, la terapia con bifosfonati andrebbe rinviata fino al completamento del processo di guarigione ossea e mucosa. La gestione dei pazienti che giungono alla nostra osservazione in corso di terapia con bifosfonati IV è ispirata all’approccio conservativo ed è volta ad evitare in modo categorico ogni atto cruento che potrebbe fungere da stimolo per il rimodellamento osseo. La valutazione del rischio di osteonecrosi nel caso di pazienti in terapia con bifosfonati assunti per os è decisamente più basso (soprattutto se la terapia dura da meno di 3 anni e non vi sia l’utilizzo concomitante di farmaci corticosteroidei) e permette all’odontoiatra di gestire meglio la cura delle patologie orali e parodontali. La terapia di scelta nel caso dei pazienti che presentano segni e sintomi di osteonecrosi è, infine, mirata a tutelare la qualità di vita di questi soggetti attraverso il controllo del dolore e delle complicanze infettive e disfunzionali. Il protocollo medico prevede cicli di terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione e antidolorifica. In caso di necessità si procede chirurgicamente con intervento di rimozione conservativa dell’osso necrotico. In conclusione, si ritiene che, sebbene molti quesiti relativi alla patogenesi, all’epidemiologia, alla suscettibilità individuale, ecc.. rimangano a tutt’ oggi irrisolti, una stretta collaborazione tra odontoiatra, medico generico, oncologo e ortopedico possa realizzare i presupposti per poter operare una valida prevenzione e cura stadio-specifica dell’osteonecrosi delle ossa mascellari associata all’uso di bifosfonati.